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Il lato umano del Terzo Principio della Dinamica. Riflessioni sulla Vendetta

La vendetta viene definita come “Danno materiale o morale, di varia gravità fino allo spargimento di sangue, che viene inflitto privatamente ad altri in soddisfazione di offesa ricevuta, di danno patito o per sfogare vecchi rancori.” (fonte https://www.treccani.it/enciclopedia/tag/vendetta/). È un’ idea, spesso anche un comportamento, che deriva dal pensiero di raggiungere l’equità e fare giustizia. Si poggia su una visione punitiva del mondo, come se le punizioni insegnassero il comportamento giusto ma molte statistiche e studi dimostrano che così non è. (Per una maggiore idea di alcuni meccanismi psicologici, si rimanda agli studi di Pavlov sul rinforzo positivo, quello negativo ed sulle punizioni). Molti credono che anche le carceri siano un luogo punitivo, quando in realtà dovrebbero essere presidi di rieducazione. Si perché nessuna civiltà può basarsi sulla vendetta e sulla punizione per sperare di essere florida. Il Mahatma Gandhi diceva che occhio per occhio servirà solo a rendere tutto il mondo cieco. Come possiamo infatti scorgere giustizia ed equità in un’azione vendicativa? Molti diranno che dipende da ciò che si vuole punire. Ma se anche accettassimo questa ipotesi, come potremmo mai credere che equiparare persone, situazioni, comportamenti o/e idee possa essere possibile? Ogni azione, persona, situazione ha una struttura propria, delle fondamenta e dei processi di causa-effetto assolutamente propri; come potremmo commisurare colpa e condanna? E poi, sarebbe possibile controllare l’effetto domino che causerebbe? Si perché, ammesso che fosse fatta giustizia, questa non dispensa dal provare rancore ed odio (né quindi, dal meditare vendetta).

Certo, il problema qui è cadere nell’idea che sia tutto assolutamente unico ed imparagonabile, creando il caos poichè, se non ci fossero parametri oggettivi – legislativi, sociali, politici e in qualsivoglia sfera – tutto potrebbe essere vissuto come un’ingiustizia, creando così un desiderio di vendetta. Ed ecco il paradosso: ogni persona, situazione o/e comportamento ha bisogno di essere sfumato e compreso partendo da lontano ma è anche vero che così tutto potrebbe essere giustificato alla luce dalla propria storia. È difficile uscirne, come con ogni paradosso.

Ecco perché molti inneggiano alla vendetta, come desiderio umano, retaggio di millenni di storia. Ma la vendetta rende ciechi e non solo nel modo descritto da Gandhi. Può diventare motivo di pensiero costante, sedimentarsi, istigare idee con le quali guardare il mondo. La più grande e disponibile vetrina su questo modo di fare – ed altri –  è il mondo dei social. Molti video (francamente terribili) che ritraggono scene violente vengono commentati con ferocia e con minacce di vendetta in nome della difesa delle innocenti vittime. (In realtà spesso commenti feroci si trovano anche sotto post non violenti, ma qui si aprono altri scenari). Come se l’uso della violenza fosse giustificato in virtù della giustizia. Nel film V per Vendetta – https://it.wikipedia.org/wiki/V_per_Vendetta – il protagonista V fa esplodere dei palazzi – simbolo di giustizia e recita “È a madame Giustizia che dedico questo concerto, in onore della vacanza che sembra aver preso da questi luoghi e per riconoscenza all’impostore che siede al suo posto!”. Secondo la teoria dello sviluppo della moralità di Kohlberg – https://lamenteemeravigliosa.it/teoria-dello-sviluppo-della-moralita – lo sviluppo morale si articola in tre livelli: pre-convenzionale, convenzionale e post-convenzionale e ogni livello ha due sottostadi. L’ultimo, il post- convenzionale, prevede l’orientamento al contratto sociale e l’orientamento al principio etico universale. Mentre nell’orientamento al contratto sociale la morale si identifica con il rispetto delle leggi, nell’ultimo stadio, quello al principio etico universale, la morale oltrepassa questa visione e i precetti morali diventano astratti, difficili da spiegare ma anche comprensivi ed universali. Questo ultimo stadio però non è raggiunto da tutti. 

Secondo Kohlberg quindi, in ultima istanza, la morale non si lega alle leggi. La giustizia in termini legali non sarebbe dunque la visione ultima della morale. Che poi è giusto chiederci, la vendetta è poi un tipo di giustizia legale o va oltre? E quanto ci si può spingere oltre le leggi per definire qualcosa come giusto? E la vendetta quindi, sarebbe frutto di una morale superiore o inferiore? Questo articolo non può assolutamente essere esaustivo e valutare implicazioni filosofiche, psicologiche, sociali, legali (e molte altre), ma cerca di puntar luce su una conseguenza importante: ogni vendetta è un atto violento, punitivo e per quanto meditata, figlia delle più viscerali e antiche caratteristiche umane. Ed una società basata sulla vendetta non potrebbe che essere sempre volta alla tensione sociale, al rancore ed all’idea di rivalsa su tutto ciò che verrebbe percepito come ingiusto. Come scrisse Miguel de Cervantes: vendette giuste non ne esistono.

Stefania Carbone

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