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Lo scandalo Facebook Research

Negli ultimi giorni è venuto fuori un nuovo scandalo che coinvolge il colosso Facebook.

A seguito di indagini, si è scoperto che Facebook paga segretamente delle persone affinché scarichino un’applicazione sul loro smartphone che permette pieno accesso alle attività del dispositivo.

Facebook, dunque, avrebbe ottenuto dati come

  • traffico di rete
  • abitudini di navigazione sul web
  • messaggi che inviati
  • applicazioni utilizzate
  • email scambiate
  • messaggi sulle app di social media
  • foto inviate e ricevute
  • video inviati e ricevuti
  • località, tracciate dalle app installate

facebook_research

Zuckerberg ha paura dei competitor. E qual è il modo migliore per distruggere la concorrenza se non prendere i dati dei suoi utenti per conoscere le abitudini?

Negli ultimi due anni, secondo queste indagini, Facebook ha fatto installare Facebook Research a delle persone pagate che hanno un’età compresa tra i 13 e i 35 anni. Anche l’età delle persone coinvolte da Facebook per tracciarne l’attività ha destato molto clamore: ha fatto molto discutere che fossero compresi minorenni, con età davvero tenere come i tredicenni.

L’app Facebook Research veniva fatta scaricare attraverso tre diversi servizi di beta testing. Così, il colosso americano a capo dei più importanti social network ha avuto accesso a tantissimi aspetti dell’attività del telefono di queste persone.

Inoltre, sembra che Facebook abbia anche richiesto agli utenti che ha contattato a pagamento di ottenere screenshot della propria cronologia di Amazon.

app_di_Facebook_per_spiare_gli_utenti

In cambio di cosa Facebook otteneva i dati degli utenti?

Questo sembra ancora più clamoroso: Facebook ha comprato i dati dei suoi utenti per soli 20 dollari al mese per un accesso al dispositivo quasi illimitato.

Facebook pone rimedio?

Dopo l’inchiesta di TechCrunch, Facebook ha comunicato che cesserà l’attività per la versione iOS dell’app. Però sembra che su Android la ricerca andrà avanti.

Inoltre, Zuckerberg non è nuovo a tale tipologia di azione: ricordiamo il caso Onavo, servizio di VPN acquistato da Facebook e che proponeva protezione per la navigazione web. In cambio della protezione, però, Onavo spiava tutto il traffico dei dispositivi mobili su cui era intallato. Un ulteriore caso si è verificato quando Facebook ha richiesto, ad alcuni suoi utenti, di installare un certificato HTTPS tramite il quale riusciva ad ottenere tutto il traffico in ingresso ed in uscita, comprese password e dati sensibili.

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